LA STORIA DELLE STORIE
Il mito Granata che attraversa il ‘900

Testi e Ricerche: Sergio Gnudi
Musiche: Beppe Giampà
Arrangiamenti: Beppe Giampà, Manuel Daniele e Marco Genta
Registrato e mixato presso Fonderiefoniche da Manuel Daniele

Beppe Giampà: Voce, Chitarra Acustica ed Armonica
Marco Genta: Pianoforte e Fisarmonica
Manuel Daniele: Chitarre
Aba Rubolino: violino
Marco Sgarbi: Reading voce maschile
Simona Codrino: Reading voce femminile
La voce di Oreste Bolmida è interpretata da Luciano Camera

Foto copertina e libretto di Giancarlo Gk Rocco realizzate presso 
il museo del Grande Torino e della leggenda Granata, eccetto le foto
a Beppe Giampà, scattate presso l’abitazione privata de
“La sala delle muse” a Calosso (AT)

Progetto Grafico: Andrea Crimi

Download digitale: ITunes Amazon – Spotify

Album scritto a quattro mani con lo scrittore Sergio Gnudi autore dei testi. Giampà scrive le musiche. Dedicato alla storia del Torino Calcio, dalla fondazione del 1906 alla finale di Amsterdam del 1992, narrata contemporaneamente a quello che accadeva anche fuori dai campi di calcio: in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Otto canzoni cantate da Giampà ed introdotte da altrettanti reading interpretati alternativamente dagli attori Marco Sgarbi e Simona Codrino. Il Toro, un mito che si svela nell’arco di un secolo e che abbraccia la storia dell’Italia del ‘900. 

Il tuo gioco era un altro (Videoclip)

Testi

Alfred Dick, nasce il Toro (Reading)

Siamo agli albori del nuovo secolo, molte cose stavano accadendo in Europa. Mentre la dolce vita impazzava a Parigi. La Ville Lumiére era la stella cometa di tutti gli artisti. Tutto appariva bello e lucente.

Nel frattempo, nel 1906, un uomo, che resterà famoso nella storia della calzatura, si trova con altri amici nella birreria Voigt in via Pietro Micca. É un freddo 3 dicembre. Lui è Alfred Dick, svizzero venuto a Torino nell’ultimo decennio dell’ottocento, portando la sua attività di calzaturiere nella città dei Savoia.

Sembra quasi una riunione carbonara, in realtà Alfred fa parte di un gruppo di dissidenti della Juve, con la quale aveva vinto il campionato l’anno precedente come presidente. I dissidenti spinti dalla passione dello svizzero fondano la nuova società di calcio: il Football Club Torino. E il colore della maglia è il Granata.

Nello stesso anno l’Europa mostra il suo aspetto modernista e positivista. Grandi sono gli avvenimenti che stupiscono gli uomini del novecento. Una Milano sempre più europea ospita l’Esposizione Universale, mentre in Gran Bretagna viene fondata la Rolls-Royce.

Ma, se a Torino sta nascendo la leggenda dei colori Granata, a Milano la leggenda approda all’Arena con Buffalo Bill, mentre l’Italia si gloria del suo sommo poeta: Giosuè Carducci riceve il Nobel per la letteratura.

Passa poco più di un mese e nel 1907 la genesi e il destino della maglia Granata già si compie.

Il primo derby, con i non amati cugini, sta creando una grande attesa in città. Un grande senso di rivincita è nell’animo dello svizzero che, però, non può assistere alla prima vittoria dei suoi, perché una mano nemica lo chiude nei bagni tra il primo e secondo tempo. Sarà liberato a fine partita con il Toro vincente per 2-1, senza che lui abbia potuto vedere l’apoteosi.

Ecco, bisogna sempre pensare a questo primo episodio, quando si parla del destino granata, cioè del gioire per poi soffrire e di non godere mai nulla fino in fondo, ma di vivere combattendo.

Cosa che lui, Alfred Dick, non fece più di quattro anni dopo, quando pose fine alla propria vita.

Dicembre in Via Pietro Micca

DICEMBRE IN VIA PIETRO MICCA

Voglio raccontare una storia lontana
voglio raccontare una storia passata
voglio raccontare quel giorno del novecentosei
raccontare l’alba del secolo nuovo

Mentre Parigi splendeva di luci abbaglianti
quell’anno incoronava il poeta italiano
mentre la nobile auto figlia d’Albione correva
moriva il genio francese della scienza sublime

Ma voglio raccontare una storia più segreta
raccontare quel giorno in via Pietro Micca
no, non voglio parlare di Superga
la risposta appare evidente
no, non voglio parlare di scudetti ed imprese gloriose

Mentre l’Europa viveva sopra le braci future
Milano brindava esponendo con calici pieni
ed oltre il grande mare il nuovo stato cresceva
e l’arte mostrava la sua faccia vestita di paglia

Ma voglio raccontare quel venditore di scarpe
quel burbero uomo che venne a Torino
raccontare la storia di Alfredo, romantico padre
raccontare come fu subito ovvio il suo destino

La sorte della maglia fu chiara da allora
da quel primo confronto con quegli altri signori
la grande vittoria della squadra che lo svizzero aveva creato
ceco il trionfo ai suoi occhi

Ma lui non la vide chiuso da una mano nemica
a poco servirono le grida e le imprecazioni
la sorte del Toro fu da allora quella di sempre e per sempre
non godere mai nulla fino in fondo

Lamentare la triste sorte che il destino ha assegnato
sentire in fondo alla bocca quel gusto amaro
e il dolce assaporare il riscatto e il ricadere
vivere combattendo, anche se Dick smise con un’ultima scelta.

Novecentoquattordici (Reading)

Estate 1914. L’Europa si avvia verso una delle più grandi distruzioni mai viste del XX secolo: la prima guerra mondiale.

Tutti convinti che sarebbe stata questione di poco tempo, forse di alcune settimane.

Vittorio Pozzo aderì nel 1906 alla fondazione del Torino, per poi partire e studiare il calcio dai maestri inglesi.

Dal 1912 ne divenne l’allenatore e lo fu per dieci anni. In mezzo a quel decennio, la Grande Guerra che avrebbe portato milioni di morti.

Le avvisaglie del conflitto armato c’erano tutte, ma l’allenatore decise ugualmente di portare la squadra in Sudamerica, affrontando un viaggio intercontinentale di due settimane a bordo di un piroscafo.

I calciatori del Toro giunsero in Brasile, disputando sei partite e vincendole tutte.

I pericoli del viaggio consigliarono a Pozzo di non ripartire subito. I granata proseguirono verso l’Argentina, dove sconfissero, tra le altre, anche la nazionale locale.

Così, pur volendo proseguire la loro marcia trionfale, i giocatori salirono a bordo dell’ultimo piroscafo utile per tornare in Europa.

Al loro ritorno li attendeva il richiamo alle armi.

L’Italia si preparava ad entrare in guerra. Mentre il ricordo di quella squadra, rimane ancora là nei paesi del Sud.

Novecento14

Vittorio li guidava verso le terre degli emigranti
li portò sulla nave navigante verso l’America
Vittorio li seguiva con lo sguardo
li richiamò al dovere quando infine giunsero al porto

Perché Vittorio quella maglia l’aveva già sognata
perché Vittorio quella maglia l’aveva già difesa
perché Vittorio era un ragazzo ai primi del 900
perché Vittorio appariva fiero in quella foto
in quella foto nera e arancione

Laddove le voci ora paiono speranza del nuovo che arriva
si gridano nomi italiani insieme a brasiliani ed argentini
laddove la terra pare infinita e l’occhio si perde in vaste pianure
nelle terre che altri raggiunsero per fame

L’anno seguente sarebbe scoppiata la guerra
ma in quei giorni tante furono le imprese sul campo
mentre Vittorio guidava i ragazzi tra il Brasile e l’Argentina
con dentro ancora quella foto
ed orgoglioso vedeva la furia granata
e già sapeva che il Toro era un legame di vita

Vittorio li guidava verso la terra degli emigranti
li portò sulla nave navigante verso l’America …
verso l’America …

Il primo scudetto (Reading)

Sono gli anni dell’avvento e del consolidamento del
fascismo in Italia, ma anche gli anni che videro calcare i campi di calcio tre fuoriclasse, il cui unico difetto fu quello di essere vissuti senza la presenza della televisione, che avrebbe immortalato le loro gesta.

Le cronache dell’epoca ne parlano come se fossero tre marziani. Adolfo Baloncieri, Gino Rossetti e Julio Libonatti: Il trio delle meraviglie.

E mentre il Torino vince il suo primo campionato, quello del 1926/27, il mondo è attraversato da grandi cambiamenti. Se in Italia il regime fascista inasprisce la sua repressione nei confronti degli avversari politici e dopo l’uccisione di Matteotti negli anni precedenti, l’incarcerazione nel ‘26 di Gramsci e l’arresto nel ‘27 di De Gasperi, il mondo vede nascere la prima trasmissione via cavo negli Stati Uniti

Ma la meraviglia delle meraviglie è il primo volo in solitaria sull’Atlantico: Lindberg a bordo dello Spirit of Saint Louis, parte da New York e dopo 33 ore atterra a Parigi.

Si apre così una nuova pagina dello sviluppo umano.

Lo scudetto viene revocato al Torino per una storia di combine mai chiarita e non è assegnato a nessuno.

Il trio delle meraviglie ci deve quindi riprovare. E così di gran carriera il Toro incomincia il campionato 1927/28

Prima dell’inizio del nuovo campionato un fatto gravissimo sconvolge il mondo occidentale. Vengono giustiziati infatti negli Stati uniti d’America gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti con accuse false e costruite.

Il campionato ha inizio nel sesto anno dell’era fascista.

Libonatti spadroneggia sui campi. Non è da meno Rossetti, mentre Baloncieri guida la squadra con determinazione.

E così domenica 22 luglio 1928, pareggiando in casa del Milan per 2-2, i Granata possono riprendersi il titolo.

Libo, Rossetti e Balon

Buongiorno Toro, buongiorno Filadelfia
buongiorno trio delle meraviglie
vedo bandiere Granata sventolare orgogliose sugli spalti
vedo i ragazzi entrare sul campo in questo giorno di giugno
in questa calda giornata oramai di una estate arrembante

Buongiorno Toro, buongiorno Filadelfia
buongiorno trio delle meraviglie
i ragazzi coi corti capelli del ventennio sorridono
le tribune ribollono di entusiastiche grida e propositi fieri
e si alzano a sventolare i cappelli per salutare i ragazzi

Buongiorno Toro, buongiorno Filadelfia
buongiorno trio delle meraviglie
in questa finale ogni colpo è accettato e vedo ruzzolare Martin
vedo Colombari e Sperone aggredir con durezza gli avversari
e vedo la felsinea squadra farsi minaccia sotto alla porta

Ma l’azione parte da sinistra, improvvisa come il baleno del lampo
la palla si fa aerea speranza per chi osa entrare in difesa
ma è lui a gettare con precisione il ruvido cuoio dentro la porta
Libo con strana andatura, barcollante ha lasciato l’impronta
e Balon e Libo e Rossetti coi corti capelli gridano gioia
rivolti a tutte le facce e le braccia a goderne la gloria

Buongiorno Toro, buongiorno Filadelfia
buongiorno trio delle meraviglie … buongiorno

Furia Granata

Capitan Valentino rimbocca la maglia Granata
in questo giorno di maggio richiama i compagni
che solcano l’erba con gagliarda energia
la palla che passa dai piedi di Loik a quelli di Ossola

Capo stazione suona ancora la tromba
invita all’assalto e spingi alla grande
capo stazione suona ancora la tromba
chiedi riscossa…chiedi la gloria

E rivedo Rigamonti, Ballarin, Castigliano e Maroso
e rivedo la furia granata, la possente grinta del Toro
Grezar all’assalto con Martelli e l’imprendibile Menti
Bacigalupo incitare i compagni, Gabetto abbracciare Bongiorni

Capo stazione suona ancora la tromba
nel rombo tonante di migliaia di piedi
capo stazione suona ancora la tromba
che risuona in questo giorno di maggio

Capo stazione suona ancora la tromba
ora il rombo diventa un unico grido immortale
capo stazione suona ancora la tromba
che abbraccia le maglie sudate

E c’è chi grida di passare la palla al capitano
l’abbraccio del Filadelfia e insieme verso l’azzurro
loro per sempre vestiti di rosso granata
loro quel rombo tonante, quella luce avvolgente

Capo stazione suona ancora la tromba
portali in cielo e mostra la strada
capo stazione suona ancora la tromba
nel sole di maggio, nell’ultima corsa

Capo stazione suona ancora la tromba
invita all’assalto e spingi alla grande
capo stazione suona ancora la tromba
chiedi riscossa…chiedi la gloria…

La farfalla è volata (Reading)

15 ottobre 1967, Gigi Meroni muore a Torino travolto da un auto in corso Re Umberto, mentre attraversa la strada insieme all’amico Fabrizio Poletti. Alla guida dell’auto, che lo prende in pieno, c’è un ragazzo di diciannove anni, Attilio Romero, tifoso Granata, che nel 2000 diventerà presidente del Torino.

Verso la fine di quell’anno, così importante per le nuove generazioni, si consuma il dramma di quella giovane vita spezzata. Un ragazzo che fu, malgrado giovanissimo, molto più di un calciatore. Magari senza volerlo rappresentò l’ansia di ribellione, di cambiamento di quel periodo.

Il 1967 fu l’anno delle grande manifestazioni dei giovani, ma fu anche l’anno in cui uno schivo cantante si uccide durante l’ultima serata di un Festival di Sanremo. Il suo nome è Luigi Tenco.

Intanto la farfalla Granata è capocannoniere del Toro, in questa stagione 1966/67, con 9 reti. Certo la sua timida eccentricità non sembra farlo entrare nel cuore dei cronisti, anzi spesso viene dileggiato, ma in campo diventa l’irraggiungibile folletto.

Il campionato comincia mestamente negli ultimi mesi del ’66, dopo la vergognosa eliminazione ai campionati mondiali d’Inghilterra, per mano degli sconosciuti nord coreani.

Meroni gioca la prima partita con il Cile segnando una rete, ma con la Corea viene tenuto in panchina.

Il campionato nazionale di calcio vede la Juventus di Heriberto Herrera vincere con un punto sull’Inter di Helenio, i Granata si classificano al settimo posto. Appena prima, milioni di italiani si erano alzati in pieno notte, per vedere in TV lo storico Benvenuti – Griffith, campionato del mondo dei pesi medi.

Gigi Meroni, con le sue serpentine, diventa in questo scorcio finale di campionato il beniamino dei tifosi, sembra gracile, ma nessuno lo prende.

Il campionato ricomincia il 24 di settembre, con il Torino che perde il primo incontro, ma nulla di grave: una vittoria e un pareggio nelle partite successive. Meroni non ha ancora segnato, ma i tifosi sono comunque contenti perché non è stato ceduto alla juve.

Che Guevara viene ucciso dalle truppe boliviane il 9 di ottobre.

Appena una settimana dopo se ne va anche la farfalla Granata, e se ne va nel modo più stupido e brutale, investito da un auto a 24 anni.

Ai funerali del 17 ottobre, ventimila tifosi danno l’ultimo saluto al ragazzo “con la maglia numero 7”.

Il tuo gioco era un altro

Tu giocavi ma il tuo gioco era un altro
da bambino imparare a saltare sul cemento
in quel piccolo anfratto forgiasti le tue gambe
per poi diventare il più amato dai ragazzi
le tue lenti e i tuoi vestiti un insulto
ai governanti del tuo mondo

Tu giocavi ma il tuo gioco era un altro
ben lo vide il triestino che ti accolse
quella maglia di quel rosso che innamora
quella maglia che ricadeva sul tuo corpo sofferente
o così appariva a chi non conosceva la tua fibra
e quel sette sulla schiena che ballava ad ogni scatto

Tu giocavi ma il tuo gioco era un altro
di disegno estroverso tra gli umani ed impudenza
di colori improvvisi nel lucente tuo apparire
di cieli nuovi da scoprire e disegnare sulla tela
il verde del tuo campo armonioso e preferito
quello bianco del tuo studio e del tuo ingegno

Tu giocavi ma il tuo gioco era un altro
anche in quel nebbioso giorno cittadino
tu provasti a dribblare il tuo destino
ma quel giorno non ci furono ne scatti e serpentine
tu vedesti appena le avvisaglie dei giovani in rivolta
quanto ti sarebbe piaciuta questa voglia di cambiare

Tu giocavi ma il tuo gioco era un altro
e ora gioca la tra gli altri che ebbero la gloria
ora usa i tuoi pennelli per dipingere le stelle
disegna i tuoi vestiti con i fili più dorati
ora chiedi a chi ti incontra che ne pensa di Meroni
ora corri e scatta fino all’angolo più azzurro
e gioca con i campioni …

Capitano dei capitani (Reading)

Arrivò ventenne al Torino nel 1959. Da lì non si mosse più.

Nato negli anni della seconda guerra mondiale, la sua vita di ragazzo triestino incomincia in un mondo, il suo mondo, distrutto dalla guerra e dall’odio tra popoli. Ma quando arriva nella città dei Savoia, l’imponente ripresa espansiva italiana è già iniziata: a partire dal 1956 lo sviluppo italiano, rispetto ad altri Paesi, ha un grado di accelerazione assolutamente fuori dal comune.

Giorgio Ferrini vive questo periodo di grande cambiamento dell’economia e della società italiana, combattendo epiche battaglie calcistiche, sempre con lealtà, ma soprattutto con la fierezza di vestire la maglia granata.

E mentre gli anni sessanta sono gli anni del cambiamento, delle contestazioni e della rivoluzione femminile, capitan Ferrini diventa per i tifosi il “capitano dei capitani”,amato e stimato, forse persino di più di Valentino Mazzola.

Lui è il capitano serio posato e sempre pronto a difendere i compagni, a spronarli, dare e chiedere rispetto.

In quegli anni Giorgio comprende di amare Torino con tutto se stesso e al Torino decide di dedicare la sua intera carriera.

Gli anni settanta sono gli anni in cui il boom economico si ferma, in cui incominciano le ricorrenti crisi economiche mondiali. L’Italia è attraversata da grandi mutamenti sulla partecipazione politica, gli stessi anni in cui cresce e si radica il terrorismo.

Dopo sedici anni di militanza, nel 1975 Giorgio appende le scarpette al chiodo. Ma non abbandona la casa Granata.

Sarà il secondo allenatore di Radice, nella splendida cavalcata dello scudetto del 16 maggio del 1976.

Finalmente la gioia immensa per un sogno che si avvera.

Capitan Ferrini non si godrà troppo quel sogno, nel novembre dello stesso anno morirà per un emorragia cerebrale.

Il suo corpo giace tutt’ora in un luogo non molto lontano da dove perirono gli eroi del Grande Torino.

Anch’egli eroe …

Il capitano Granata

Il numero otto, bianco sulla schiena Granata
il cuore rosso e gli occhi accesi in battaglia
sguardo chiaro ai compagni sul campo
mascella incupita, no non c’era più scampo

Adesso arriva Ferrini gridava il Filadelfia
tracotante l’avversario, spaurito, in fuga
che fosse il furetto veloce partito all’arrembaggio
che fosse l’arrogante centrale dagli occhi di ghiaccio

E arriva il capitano la folla gridava
poco importa chi fosse l’avversario
e arriva il capitano la folla applaudiva
dal campo infangato ne usciva stremato
dal campo infangato, Ferrini stremato

Il numero era otto bianco sulla maglia Granata
la fascia stretta e orgogliosa al suo braccio
sguardo alto verso la folla e la tribuna
braccio alzato ad indicarne la vittoria

Forgiava i compagni nel corpo e nel cuore
bastavano gli occhi a chieder sudore
bastava ricordare la maglia indossata
la maglia di storiche imprese, la maglia Granata

E arriva il capitano la folla gridava
poco importa chi fosse l’avversario
e arriva il capitano la folla applaudiva
dal campo infangato ne usciva stremato
dal campo infangato, Ferrini stremato
dal campo infangato …
Ferrini capitano mai dimenticato …

Lo scudetto del 1976 (Reading)

Il 1976 è uno di quegli anni che resterà presente nella storia d’Italia come un macigno. Un anno di grandi cambiamenti e nuove sfide.

Nel frattempo nell’estate del 75 il presidente Pianelli prova a ricostruire una squadra che possa finalmente vincere, dopo 27 anni, il campionato. E probabilmente la scelta decisiva è quella di un allenatore al suo primo anno nel Toro: Gigi Radice.

Certo altri acquisti  contribuirono, ma l’arrivo di Radice fu una pietra fondamentale per la vittoria finale.

I gemelli del goal, così furono chiamati Pulici e Graziani, segnarono 38 reti preziose per la vittoria finale, ma il gioco a tutto campo ed il pressing dei Granata, mise sempre in seria difficoltà gli avversari.

Mentre il campionato entrava nella sua fase invernale, il primo gennaio del 76 la Tv nazionale mandava in onda l’ultima puntata di Carosello: ovvero un pezzo del vecchio mondo che se ne andava.

Dalla 18° giornata la cavalcata trionfale. Quattro vittorie su cinque partite fino al derby con la Juve vinto per 2-1.

Il 6 maggio una grave tragedia colpirà il Friuli. Un forte terremoto ne distruggerà molti paesi: i morti saranno quasi mille. L’Italia intera si mobiliterà per portare aiuto.

Oramai il toro è convinto e corre verso il titolo.

Con gli occhi ancora umidi di pianto per i tragici fatti, il 16 maggio del 1976, il Torino torna ad essere campione d’Italia.

I gemelli del tricolore

Li ho visti i campioni
erano lì a scriver la pagina che porta gli onori
ho visto Puliciclone attaccare irruente le porte avversarie
e ho visto Graziani travolgere le difese più dure
li ho visti gridare la gioia di anni inghiottiti di rabbia

L’impresa c’è stata, imprevista, e forse all’inizio solo sognata
e ora i gemelli si abbracciano felici e gioiosi in questa giornata
la squadra solleva al cielo il loro condottiero
e a coloro che vinsero e rivinsero va un pensiero

Ma proprio in quei giorni
in cui una scossa tremenda ci mise in ginocchio
quei giorni in cui il pianto di mille famiglie riempì le case
i ragazzi intrecciarono i corpi e gli scatti fino alla fine
e Il Giaguaro a difesa del forte, ma forte e arcigno

In quell’anno che vide nascere nuove speranze e nuove tragedie
in cui l’Italia assaggiava la cruda ricetta allo stringer la cinghia
i  Dioscuri del Toro incombevano sui campi con furia ed onore
e Ciccio e Puliciclone spingevano verso il tricolore

E infine ho visto i campioni scrivere quello che il cielo dettava
li ho visti chiamare a raccolta i compagni in un unico abbraccio
li ho visto soffrire sui campi melmosi ma vittoriosi
e li vedo ancora nelle bandiere sventolare allo stadio

Li ho visti i campioni
erano lì a scriver la pagina che porta gli onori
ho visto Puliciclone attaccare irruente le porte avversarie …

Cravero e la fine di un'epoca

La fine degli anni ottanta è la fine di un’epoca …

E’ l’inizio di un nuovo mondo.

A Berlino è una fredda sera di inizio novembre. Sono le 21.20 quando viene alzata definitivamente la barriera al varco di Bornholmer Strasse.

Entro le 23.30 vennero aperti tutti gli altri check point che dividevano Berlino in due. I tedeschi dell’est poterono andare così nella zona ovest e viceversa. Finiva la divisione di una città iniziata il 13 agosto del 1961 e cadeva per sempre il muro di Berlino.

Poco meno di una anno dopo la Germania era riunificata.

Qualche mese prima una tragedia, semplicemente sportiva, colpì la squadra della Torino Granata: una triste retrocessione in serie B.

Non era la prima e non fu l’ultima, ma ai tifosi rimasero impressi gli occhi lucidi del loro capitano: Roberto Cravero … un ragazzo che i colori li aveva già cuciti nella pelle e che con testardaggine l’anno dopo, insieme alla squadra, ritornò in serie A.

Nel ’92 il mondo cambiava e in un Europa che voleva diventare moderna, i giovani provavano a fare la loro parte. E, mentre una squadra di ragazzi guidati da Mondonico andava alla conquista dell’Europa calcistica, sfidando le squadre del vecchio continente fino a giungere ad Amsterdam, l’Italia perdeva la foglia di fico e incominciava a conoscere Tangentopoli.

La squadra Granata non vinse e non perse, cedette ai lancieri olandesi con l’onere di chi ha coraggio … e Cravero fu in mezzo ai suoi a lottare fino allo stremo.

Chi perse …

Chi perse fu l’Italia in quel tragico giorno di maggio di Capaci e in quello triste e vergognoso in via D’Amelio.

I tuoi occhi malinconici

Sul finire di quegli anni in cui il mondo veloce cambiava
sul finire di quegli anni di bandiere abbassate
sul finire di quegli anni cantando crollavano i muri
sul finire di quegli anni gridavano nuove speranze

La gente cantava lungo le strade e le piazze tornarono piene
giovani che si abbracciavano dall’altra parte della cortina
e le lingue che si riunivano in coro con parole scordate
le mani che si sfioravano ancora in un girotondo di pace

Ma i miei occhi di bimbo videro i tuoi occhi pieni di pianto
i miei occhi di bimbo che non capivano videro un triste ragazzo
i miei occhi curiosi del nuovo e di quella maglia sudata
i miei occhi videro i tuoi guardare malinconici la fascia

Furono giorni di allegre canzoni per tutti i ragazzi d’Europa
furono giorni di tristi rimpianti per la maglia Granata
ma i giorni divennero mesi, e i mesi giorni diversi
la fascia stretta al tuo braccio divenne più salda e vincente

Furono giorni del riscatto e del ritorno tra i grandi
furono giorni di vittorie e bandiere arrembanti
furono giorni di campi espugnati da corsari Granata
giorni del nuovo decennio ignaro del nostro domani

Ma i miei occhi di bimbo videro i tuoi occhi pieni di pianto
i miei occhi di bimbo, che non capivano, videro un triste ragazzo
i miei occhi di bimbo videro ancora le bandiere calare
i miei occhi di bimbo sentirono ancora
il dolore correre su quel campo

Poco conta la fine di quella avventura giocata in terra olandese
poco contano le lacrime versate dai tuoi compagni
poco conta che tu ti sentissi avvilito di fronte a tutto lo stadio
quei giorni furono giorni di gloria e luminose speranze

Ma miei occhi di bimbo videro i tuoi occhi pieni di pianto
i miei occhi di bimbo, che non capivano, videro un triste ragazzo
ma i miei occhi di uomo ricordano ancora
la fascia stretta al tuo braccio
ma i miei occhi di uomo ti vedranno
sempre e per sempre con la maglia Granata